Il mistero del falco (1941)

Terzo adattamento del romanzo omonimo di Dashiell Hammett, il film che segna il debutto alla regia di John Huston è considerato il precursore del genere noir, ed è stato più volte imitato e parodiato nel corso degli anni. Contribuì sicuramente a creare la leggenda di Bogart e a stabilire alcuni dei punti fermi del genere noir, tra cui la presenza della femme fatale. Ci sono tutti gli ingredienti che sarebbero diventati classici: un mistero complesso, un ambiente cupo e inquietante, un assortimento variegato di personaggi insoliti, tra cui non può mancare una donna affascinante e ambigua; una fitta nebbia formata dal fumo delle sigarette e, naturalmente, un antieroe che è sempre un passo avanti rispetto a quanto sembra essere, quell’investigatore il cui codice morale prevale sulle regole stabilite dalle istituzioni e dalla società. A questo si aggiungono un’atmosfera oscura e sinistra, e una conclusione che non è tra le più felici.

Siamo a San Francisco negli anni ’40. Il collega del detective privato Sam Spade viene assassinato quando, per conto di una misteriosa e bellissima donna, deve tenere d’occhio un certo Floyd Thursby che è scappato con la sorella minore di lei. Quando poi anche Thursby viene trovato morto, Sam diventa il principale sospettato. Il detective allora indaga e scopre che la donna che gli ha affidato l’incarico nasconde qualche segreto, ed è diversa da come se l’era immaginata. È coinvolta in un caso che riguarda il Falco maltese, una statuetta estremamente preziosa. Sam avrà anche a che fare con due loschi personaggi interessati alla statuetta, per la quale sembrano disposti a tutto.

La sceneggiatura, scritta da Huston sulla base del romanzo di Hammett, è complessa ma non confusa, e riesce a creare un’impressionante rete di bugie e mezze verità da svelare, con al centro un Bogart in gran forma. Ed è divertente cercare di stargli dietro mentre la nebbia lentamente si dirada. Cinico, sarcastico, deduttivo e intelligente, Sam Spade è l’equivalente noir di Sherlock Holmes. E nei suoi panni Bogart mostra il mix perfetto di fascino, sangue freddo e la giusta dose di forza da usare contro i cattivi: trasuda sicurezza e carisma come solo lui può fare. Il Sam Spade di Bogart è un mascalzone, e mostra un’innegabile spavalderia, ma è l’unico modo per trattare con il tipo di persone con cui ha a che fare.

Mary Astor disegna una protagonista torbida e sensuale, perfetta nei panni ambigui della femme fatale; forse non al livello di Barbara Stanwyck ne La fiamma del peccato, ma abbastanza ricca di fascino e mistero da sedurre il protagonista maschile. La Astor ha stabilito l’archetipo della femme fatale che avrebbe contraddistinto i film noir, soprattutto tra la metà e la fine degli anni ’40: è una donna molto bella e seducente, ma si capisce subito che non ci si può fidare. Ad un certo punto ammette addirittura di essere una bugiarda cronica. E nonostante tutti i suoi evidenti difetti, Spade ha difficoltà a consegnarla alla polizia. Questo in fondo è quello che la rende così pericolosa: gli uomini vogliono credere in lei, anche quando sono consapevoli che li sta ingannando.

Peter Lorre tiene testa a Bogart (e quasi lo supera) nei panni del viscido Cairo, che si presenta con il biglietto da visita profumato, e si mostra effemminato per quanto era possibile esserlo in un film dell’epoca. Lui e Sydney Greenstreet sono supporti di gran classe: il primo è un tipo stravagante, dalla voce querula e dai modi volutamente leziosi e irritanti, il secondo un personaggio grande, grosso e irruento, che è il suo esatto opposto. Il film suggerisce che i due abbiano una relazione, ma senza soffermarvisi troppo, come si faceva allora per rappresentare le relazioni omosessuali.

Pensando a questo film, forse si pensa subito a Lorre, perché è uno dei suoi ruoli più iconici, e il suo personaggio è certamente particolare, sia per l’aspetto che per i modi, mentre quello di Bogart diventerà l’archetipo dei suoi ruoli futuri, ma di certo non si può dire che sia singolare nella sua filmografia. Greenstreet non aveva mai recitato prima al cinema, ma veniva dal teatro e fu all’altezza del ruolo, tanto da essere nominato come miglior attore non protagonista.

La trama è senza tempo, così come lo sono le motivazioni e le azioni dei personaggi: gli sviluppi sono interessanti e regalano molti colpi di scena, tanto che potrebbe non essere facile seguire la storia a una prima visione, ma in realtà non è questa la cosa più importante. I dialoghi e lo stile sono ciò che conta. Il film è molto elegante e pieno di ritmo, ma l’attenzione ai dettagli è notevole, tanto che ogni fotogramma sembra attentamente studiato.  Il mistero in sé è bello, ma senza le interpretazioni iconiche del cast e la raffinata regia di Huston, non credo che sarebbe sufficiente per elevare il film rispetto ad altri noir di contenuto similare.

Nel complesso, considerando anche il budget talmente ridotto che Bogart dovette utilizzare il suo guardaroba, il film è un capolavoro meravigliosamente evocativo, ricco della giusta tensione e con una visione cinica del mondo, che per allora era una novità assoluta.
Alla fine il mistero della statuetta passa in secondo piano rispetto all’amara consapevolezza che la corruzione, l’avidità e la vendetta prevalgono su qualsiasi tipo di lealtà o di sentimento.

27 pensieri riguardo “Il mistero del falco (1941)

    1. Non lo so ancora, ci penserò. In ogni caso qui ho riportato un elenco alfabetico dei classici recensiti di là, così sono comunque visibili se qualcuno è interessato. Allo stesso modo ho inserito l’elenco delle monografie.

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  1. Complimenti per questo nel post che da inizio anche a un nuovo blog 🥀👏 Ti stupirò con effetti speciali dicendo che il film lo conosco e forse forse se non vado errando credo di averlo visto molti anni addietro anche un paio di volte anche perché ho sempre amato Bogart 😊 Buon pomeriggio🌹

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