Rebecca – La prima moglie (1940)

Il romanzo di Daphne Du Maurier è uno splendido melodramma gotico e materiale perfetto per il macabro gioco psicologico di Hitchcock. I libri della scrittrice britannica, carichi di suspense e talvolta anche tendenti all’horror, sono stati un’importante fonte di ispirazione per il regista. Nel 1939 aveva girato La taverna della Giamaica, tratto dal romanzo omonimo di Du Maurier, e anche Gli uccelli si ispirerà a un suo racconto. Il più grande successo, tuttavia, fu Rebecca del 1940, il primo film realizzato da Hitchcock negli Stati Uniti, anche se è stato girato principalmente in Gran Bretagna e la maggior parte del cast è inglese.

La storia presenta molte delle caratteristiche care al regista britannico: c’è una donna innocente, vittima di un uomo misterioso e affascinante, al centro di un’apparente macchinazione, che finirà per minacciare la sua felicità e la sua vita stessa. Non è però un vero e proprio giallo, perché la tensione è impostata solo dalla psiche della protagonista, turbata e assillata dal ricordo della sua rivale, in realtà presunta tale, fino quasi al punto di impazzire.

Una giovane donna molto timida e tendenzialmente insicura, bella ma priva di personalità, incontra a Montecarlo un ricco vedovo di mezz’età; i due si innamorano e si sposano quasi senza conoscersi. Lei diventa così la “seconda signora De Winter”, di cui il film non ci svelerà mai il nome di battesimo, per farla apparire ancora più anonima. La vera protagonista del film, infatti, è Rebecca, la prima signora De Winter, deceduta in circostanze mai chiarite, la cui ombra aleggia costantemente su tutta la casa.

In particolare la vecchia governante, che le era molto affezionata, la ricorda continuamente, sottolineando le differenze tra lei e la nuova venuta, e non perde occasione per esaltarne la bellezza, la classe e l’intelligenza, tutte cose di cui la nuova moglie sembra essere carente. Anche il marito sembra essere ossessionato dal ricordo di Rebecca, e la sposina ne soffre molto. Anche perché tutto quello che fa, da come si veste a come gestisce l’enorme casa del marito, viene costantemente criticato e messo in discussione.

Oscuri segreti di famiglia, omicidi e tradimenti in una vecchia magione da brivido: questi elementi, in mano a un altro regista, avrebbero potuto rivelarsi un insieme banale, se non addirittura ridicolo. Ma nelle mani di Alfred Hitchcock, e con Joan Fontaine e Laurence Olivier come protagonisti, diventano un capolavoro di suspense e atmosfera. Hitchcock aveva, grazie ai produttori statunitensi, un ampio budget a sua disposizione e ha reso il castello gotico di Manderley, in cui la vicenda è ambientata, quasi un personaggio a sé stante.

Questa bellissima villa a strapiombo sul mare è lo sfondo suggestivo dell’ambigua storia d’amore dei due protagonisti, tra cui si frappongono il fantasma di Rebecca e il personaggio subdolo della governante, interpretata da Judith Anderson con una perfidia quasi diabolica. Hitchcock sfrutta al meglio tutte le risorse della vicenda: la storia misteriosa e oscura, il personaggio di Rebecca che, pur non comparendo mai, è oltremodo presente ed esaltato dal ricordo, l’odiosa governante che si muove quasi fosse la padrona di casa, e il sospetto che la nuova moglie sia intrappolata in chissà quale complotto.

Il regista sembra provare un grande piacere nel lasciare che la tensione salga al punto da diventare quasi insopportabile per la protagonista, e tangibile anche per il pubblico. Joan Fontaine interpreta in modo mirabile la timida e paurosa seconda signora De Winter, al punto che fu giustamente nominata per l’Oscar: si aggira solitaria nelle grandi stanze, con la testa china e le spalle strette, goffa, esitante e a disagio come un gattino impaurito.

Tuttavia l’attrice non era gradita a Laurence Olivier, che avrebbe preferito lavorare con Vivien Leigh, di cui allora era innamorato. Per questo motivo sfogò spesso le sue frustrazioni su la Fontaine, riprendendola e criticandola apertamente in malo modo. E si dice che Hitchcock abbia lasciato che Olivier facesse a modo suo, sperando che l’aspetto pauroso e insicuro dell’attrice sarebbe stato più realistico, se fosse stata effettivamente intimidita dagli altri attori. Indubbiamente il risultato ottenuto è notevole. Ma alla fine è Judith Anderson che ruba la scena a entrambi i protagonisti, la gelida e terrificante governante, che interpreta qui il ruolo più importante della sua carriera e uno dei cattivi più memorabili nella storia del cinema.

Il film è stato prodotto da David O. Selznick, che aveva portato Hitch negli Stati Uniti. Sfortunatamente, la collaborazione tra Hitchcock e Selznick non fu ottimale, poiché entrambi erano egocentrici e ambiziosi. Tuttavia, ciò non ha ostacolato il successo del film: è l’unica opera di Hitchcock a vincere l’Oscar per il miglior film e gli ha fatto guadagnare la sua unica nomination per la miglior regia. Rebecca è stata nominata a undici Oscar e alla fine ne ha vinti due, per il miglior film e la migliore fotografia, oltre a confermare il talento di Joan Fontaine, che l’anno dopo avrebbe recitato di nuovo con Hitchcock, ne Il sospetto, portando a casa la statuetta.

Oggi questa pellicola appare un po’ datata, soprattutto perché molti autori successivi hanno attinto a mani basse dal genio di Hitchcock, e diversi film hanno ripreso il finale a sorpresa di Rebecca, che quindi oggi potrebbe non sorprenderci più di tanto.
Rimane comunque un ottimo thriller psicologico, basato su una storia tutto sommato semplice, ma velata di un’atmosfera di mistero che la rende indimenticabile: niente coltelli sotto la doccia né inseguimenti sul monte Rushmore, ma l’ombra minacciosa che una donna emana dopo la sua morte e che si fa presenza più che mai inquietante, senza essere di fatto mai visibile. Miracoli di un genio ineguagliato.

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